Niente imposte sui beni attribuiti al coniuge separato

Circolare delle Finanze


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Studio per Il Giornale:


Diritto di famiglia
Diritto di famiglia Fisco immobiliare
Fisco immobiliare
Esenzione completa di tutti i tributi, immobiliari e non, al momento della separazione dei beni tra coniugi: lo stabilisce una Circolare del Ministero delle Finanze (la n. 49 datata 16 marzo 2000 ma non ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale). La stessa esenzione era già prevista, ma solo per i casi di divorzio, il che era manifestatamene assurdo, dal momento che, quasi sempre, è al momento della separazione tra i beni, che precede di anni il divorzio, che viene spartito il patrimonio della famiglia.

La circolare delle Finanze non fa che recepire (finalmente) una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 154 del 1999, nella quale era stato giudicata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 , che disciplina lo scioglimento di matrimonio, "nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi".

In parole povere se uno dei due coniugi, durante il procedimento di separazione dei beni, attribuisce o vende all'altro un immobile, sarà esente da imposta di registro, da imposte ipotecarie e catastali, da Invim, da imposta di bollo, anche se riceve in cambio del denaro per il passaggio di proprietà: Il principio vale indipendentemente dal fatto che ciascuno dei coniugi sia benestante o indigente e indipendentemente dal valore dell'immobile stesso. Non conta nemmeno se moglie e marito erano in comunione o in separazione dei beni (se non, eventualmente, per sapere se l'immobile era di proprietà di uno solo o per metà di entrambi). Le Finanze chiariscono perfino che sono esenti da imposta anche le iscrizioni di ipoteca su un immobile per ottenere un prestito che serva a pagare al coniuge gli alimenti.

Il risparmio fiscale è, come si può ben capire, pari in media a milioni di lire . Tutto ciò benché il Dpr 26 aprile 1986, n. 131 prevedesse già, per l'imposta di registro, il pagamento in misura fissa, pari a 250 mila lire, non solo in caso di divorzio, ma anche in caso di separazione.. Infatti, se la separazione dei beni coinvolge un immobile del valore di 300 milioni, solo per le imposte ipotecarie e catastali si sarebbero dovuti versare 9 milioni di lire (mentre ora sono dovute solo 250 mila lire, a titolo di imposta fissa).

In quali casi, però, si può richiedere il rimborso dei tributi già versati? Ce lo spiega Silvio Rezzonico, presidente della Confappi (Confederazione piccola proprietà immobiliare) : "Sicuramente finché la separazione tra coniugi non è stata decisa con un giudizio divenuto irrevocabile (perché non più impugnabile in appello o in Cassazione). Ricordiamo che la separazione prevede sempre e comunque un atto del giudice, anche nel caso in cui sia consensuale, cioè vi sia un totale accordo tra i coniugi che si stanno separando. Se il giudizio è pendente, e vi è stata comunque una divisione parziale dei beni decisa provvisoriamente dal giudice in attesa della sentenza, vale comunque il termine di decadenza previsto dalle leggi entro cui il contribuente potrebbe ricorrere per il rimborso della singola imposta non dovuta davanti alle Commissioni Tributarie. Si tratta di 3 anni per l'imposta di registro, l'Invim e le ipotecarie e catastali". .

Chi ha applicato l'anno scorso l'aliquota ridotta prevista per l'abitazione principale anche al box o al posto auto di pertinenza, ha diritto di non essere sanzionato. Tutt'alpiù dovrà pagare la differenza tra l'imposta dovuta e quella effettivamente versata, senza interessi ne multe. E' questa la tesi della Confappi (Confederazione piccola proprietà immobiliare), che smentisce quanto affermato in una recente circolare del ministero delle Finanze, la n. 23/E.

Ricostruiamo i fatti. L'anno scorso il ministero delle Finanze, con la circolare n. 114/E, ha affermato con l'aliquota per l'abitazione principale si applica anche alle pertinenze della prima casa. Il caso tipico è quello dei box che hanno una rendita catastale, quindi un imponibile autonomo.

La circolare, che riprendeva un decisione del Consiglio di Stato, è stata un fulmine a ciel sereno. Di li a pochi giorni i contribuenti avrebbero dovuto pagare la prima rata dell'imposta comunale sugli immobili. Immediatamente i comuni, rappresentati dall'Anci, sono insorti, per paura di incassare di meno. Tanto hanno fatto e tanto hanno detto che alla fine il Governo, con la legge Finanziaria 2000 (articolo 30, commi 12 e 13) è ricorso a un compromesso. Ha in sostanza stabilito che il principio di applicare ai box l'aliquota prima casa sarà valido solo dall'1 gennaio 2000 (salvo delibere comunali contrarie). Fino all'anno 1999, invece, i box dovevano pagare l'Ici con l'aliquota "normale" stabilita dal comune, non con quella "scontata" prevista per la prima casa.

Fin qui i fatti. Ma cosa accade ai contribuenti, che, fidandosi della circolare del Ministero delle Finanze e degli articoli comparsi su tutta la stampa nazionale e locale hanno pagato l'Ici ridotta sui box? Secondo l'ultima circolare delle Finanze non hanno scampo: dovranno pagare l'Ici per intero, più sanzioni e interessi. Secondo Silvio Rezzonico, presidente della Confappi, invece le cose non stanno così: "Esiste un principio che sta alla base di tutto l'ordinamento giuridico", dice Rezzonico, " che è quello del cosiddetto "affidamento. Più volte la giurisprudenza, in occasione di fondati dubbi sulle contraddizioni della legislazione fiscale, ha previsto che non fossero applicabili le sanzioni, se il cittadino ha agito in buona fede.. Credo che non esista caso più giustificato di questo per concludere che il contribuente non debba nulla, né a titolo di interessi né a titolo di sanzioni sull'Ici. Tuttalpiù dovrà pagare la differenza tra imposta che ha versato e quella che doveva versare".